7 luglio 2021
DIARIO DI BORDO
Andare in SUP: l’esperienza del Sea Tales Team

Anche quest’estate, noi del Sea Tales Team ci occuperemo di raccontarvi, nel miglior modo possibile, le nostre esperienze nella laguna veneta. Per oggi al timone ci sarò io, Michela.

Vi parlerò della nostra prima avventura in mare aperto, durante la mattinata trascorsa assieme alla Little Maui Surf School. Abbiamo provato il SUP (Stand Up Paddling), uno sport acquatico che negli ultimi anni sta emergendo anche in Italia.

 

Inizia il racconto della nostra mattinata in SUP

Sveglia presto, colazione e via in spiaggia, dove ci attende Veronika, l’istruttrice della Little MAUI Surf School che sarà con noi tutta la mattinata. Ci viene incontro sorridendo, e ci invita a lasciare il nostro materiale nella loro postazione in spiaggia.

“Oggi il mare ci ha fatto un grande regalo”, esordisce, alludendo allo specchio d’acqua perfettamente piatto che si apre davanti a noi.

È una frase che attira la mia attenzione, mi stupisce.

Le mie interazioni con il mare si esauriscono di norma in una settimana all’anno di spiaggia, e questo lasso di tempo non è sufficiente a creare con esso un legame così profondo da imparare a intercettarne tutti gli umori. Sarà che, a chi non lo vive, il mare dà l’illusione di essere sempre propizio.

Veronika invece sa riconoscere ogni suo moto e sa apprezzare momenti di pace che, nell’immaginario collettivo, sono scontati. Quando lo guarda i suoi occhi si illuminano, e quando parla di lui lo fa con la delicatezza che si riserva solo a ciò che è davvero speciale. Lo tratta come se fosse una persona, e come una persona lo ama, gioendo della sua generosità e accogliendo nondimeno le sue tempeste.

Lungo la battigia, le tavole sono allineate una di fianco all’altra, rivolte nella direzione del mare. Per me e Giovanna questa è la prima esperienza con il SUP, mentre Tiziana ha già avuto modo di provarlo in passato.

 

L’ABC del SUP

Veronika ci dà alcune informazioni preliminari sul modo in cui affrontare l’esperienza.

“Prima di tutto, questo” dice, sventolando una cavigliera ancorata all’estremità posteriore del SUP. Ci invita a legarla su un piede, avendo cura di tenere il laccio verso l’esterno perché non sia di intralcio ai nostri movimenti.

“Vedete questa fessura?” riprende, indicando una rientranza nera posta al centro della tavola. “È l’impugnatura, ma indica anche l’altezza a cui dovrete tenere i piedi per rimanere in equilibrio sulla tavola. Mi raccomando, devono essere paralleli e distanziati tra loro”.

L’istruttrice ci spiega poi come gestire la pagaia, anche in considerazione del fievole vento che soffia da Sud-Ovest. Ci invita a tenerla in modo che l’impugnatura superi di circa 20 cm la nostra testa, e ci consiglia di vogare in modo alternato a destra e a sinistra.

 

A tu per tu con il mare

È tempo di partire. Imbracciamo le tavole e le facciamo scivolare a pelo d’acqua. Come ci ha spiegato Veronika, inizialmente andremo al largo pagaiando in ginocchio. Con un movimento repentino e deciso, saliamo contemporaneamente sulle nostre tavole e ci dirigiamo verso la linea dell’orizzonte. Ci vuole qualche minuto per prendere confidenza con il mezzo e capire come muoversi per indirizzare con perizia la tavola secondo la nostra volontà. La concentrazione sui gesti da compiere rende dapprincipio difficile distogliere lo sguardo dalla pagaia, sebbene non manchi il desiderio di alzare il capo per ammirare il panorama da una nuova prospettiva.

Cerco di bilanciare il peso in modo ottimale e, in un momento di maggiore sicurezza, getto uno sguardo di fronte a me. Il mare è ovunque, brillante, solenne e fiero, e ci culla con sua cantilena ostinata. La sua timida opposizione al nostro moto non è sufficiente a infastidirci, così proseguiamo dritti verso una meta lontana e invisibile. Davanti a noi, Veronika ci fa un cenno: è ora di alzarci in piedi sulla tavola. Il momento più difficile e delicato è arrivato.

 

Chi ben inizia è a metà dell’opera!

Scherziamo tra di noi, facciamo scommesse su chi cadrà per prima. Grazie alla sua, seppur poca, esperienza in più, Tiziana è la prima a raggiungere la posizione eretta. Giovanna la segue poco dopo, con altrettanto successo. È il mio turno: esito, poi prendo coraggio e mi alzo cercando di mantenere tutta la concentrazione sui piedi. Sento la tavola traballare sotto di me, ho la sensazione di cadere e, per un istante, chiudo gli occhi… Quando li riapro sono ancora lì, in piedi sulla tavola, in piedi sul mare. La sensazione è magnifica.

Remo per non perdere l’equilibrio e intanto mi godo, stavolta per davvero, tutto lo scenario che si apre davanti a me. Stiamo percorrendo una via immaginaria che pare non avere fine, l’occhio si perde nel velo latteo che sfoca l’orizzonte rendendolo ancor più misterioso e, per questo, ancor più attraente. Le altre ragazze del Team stanno remando nella mia stessa direzione. Non stiamo puntando a una meta da raggiungere, eppure siamo coordinate nel percorrere la medesima, impercettibile strada. Il bello del SUP è anche questo: essere soli sulla propria tavola e allo stesso tempo essere anche in compagnia. Giovanna è tra tutte la più entusiasta, e non smette di ripetere quanto sia felice di questa nuova esperienza.

 

Il peggio è passato

In poco tempo, ci sentiamo a nostro agio e iniziamo a cambiare la via a seconda del nostro estro. Stiamo galleggiando sul tempo. La voce rassicurante di Veronika si fa sempre più rara: non ci perde mai di vista, ma non ha più indicazioni importanti da comunicarci. Attorno a noi si forma una bolla di silenzio e di libertà. La spiaggia, con i suoi colori e le sue parole sospese, è lontana. La sensazione è quella di essere distanti anni luce dagli oggetti e dalle persone a riva, di cui a stento ora riconosciamo la fisionomia.

Eppure, tra poco dovremo tornare là, non senza un pizzico di malinconia.

Mi volto verso Veronika, che si staglia in piedi sull’orizzonte come una dea del mare. È a proprio agio nel suo elemento, è a casa nel posto in cui ha scelto di abitare. Guardandola, mi viene a mente una citazione di Emily Dickinson che diceva: “La riva è più sicura, ma a me piace combattere con le onde del mare”.

Sorrido tra me e me. Pare l’abbia scritta apposta per lei.